Unanimated – “In The Forest Of The Dreaming Dead” (1993)

Artist: Unanimated
Title: In The Forest Of The Dreaming Dead
Label: No Fashion Records
Year: 1993
Genre: Melodic Black Metal
Country: Svezia

Tracklist:
1. “At Dawn / Whispering Shadows”
2. “Blackness Of The Fallen Star”
3. “Fire Storm”
4. “Storms From The Skies Of Grief”
5. “Through The Gates”
6. “Wind Of A Dismal Past”
7. “Silence Ends”
8. “Mournful Twilight”
9. “In The Forest Of The Dreaming Dead”
10. “Cold Northern Breeze”
11. “Buried Alive”

“Dato che la Svezia è un paese ricco, chiunque voglia suonare in un gruppo ha la possibilità di farlo. Da sempre, gli strumenti e le sale prova sono stati forniti perlopiù dai comuni, e in certi posti riuscivi persino a farti pagare da delle associazioni per provare e registrare. […] In sostanza i giovani non hanno molto da fare, a parte darsi allo sport o formare una band. Per questo, da un po’ ovunque è emerso un grande quantitativo di gruppi.”

Con queste parole Daniel Ekeroth, autore del valido saggio monografico “Swedish Death Metal”, si spiega l’esplosione inaspettata della scena musicale underground svedese, trainata dagli immortali capolavori del biennio ’90-’91 e giunta durante i ventiquattro mesi successivi ad un punto di massa critica nel quale sarebbe poi detonato il controverso “Wolverine Blues”, portandosi dietro la conseguente disgregazione dello spirito originario fatto di brutalità senza compromessi e demo tape dalle truculente copertine disegnate a mano. La legione di non morti affamati di carne umana e chitarre a motosega cresce infatti di giorno in giorno durante quel lustro scarso, e si espande da Stoccolma al resto del territorio nazionale accogliendo sì tra le sue fila parecchia gente di secondo piano, sicuramente accodatasi senza troppa convinzione o creatività, ma pure alcune realtà le quali, con la sagacia dei migliori artisti, intuiscono che in un simile ambiente o ci si perde nell’ombra di Entombed e Dismember o si innalza ancora l’asticella aprendosi una propria nicchia dove rifugiarsi una volta che la bolla di cloni sarà finalmente scoppiata: lo capiscono a Göteborg degli At The Gates già arrivati al debutto così come i di lì a venire Dark Tranquillity, e pure nella capitale fortino dell’HM-2 cominciano a prendere forma sia i flirt con il Doom firmati Katatonia sia un nuovo modo di concepire l’elemento melodico, lontano dalle influenze maideniane che avrebbero invece preso il sopravvento nella città affacciata sul Kattegat. Paladini di tale rivoluzione sono tre collettivi già in azione da tempo i quali -senza ovviamente rendersene conto- finiscono dopo anni di messa a punto della proposta col creare una risposta tanto convinta quanto convincente all’altra trinità fondativa agitatasi in Norvegia durante il 1992, importandone al di qua del confine la raffinata arte delle sette note in nero all’ormai codificata maniera scandinava.

Il logo della band

In questo quadro, la posizione occupata dagli Unanimated e dal loro disco d’esordio “In The Forest Of The Dreaming Dead” si fa dunque alquanto complessa; sono per l’appunto cronologicamente loro i primi del golden trio completato da Necrophobic e Dissection ad uscire con l’iniziale testimonianza su formato esteso nel febbraio di tre decadi orsono, tramite quella No Fashion Records che sin dal nome scelto dal patrón Tomas Nyqvist intende opporsi alla preoccupante standardizzazione dei Sunlight Studios e portare invece all’orecchio dei metallari svedesi una nuova declinazione della musica estrema divenuta richiestissima in quelle zone.
Archiviato infatti in un certo senso il paradosso rappresentato da “Dark Endless”, ossia il debutto pressoché del tutto aderente al canone Death nazionale -seppure rigorosamente satanico- della band che più di ogni altra detterà la linea di tantissimo Black conterraneo, giunge ora per l’etichetta il momento di assolvere pienamente alla propria mission spianando il sentiero di connessione tra i due generi prossimi ad avvicendarsi in cima alle preferenze dei giovani headbanger nordici: ed in questo senso, nessun altro album avrebbe potuto essere miglior successore dell’opera prima dei Marduk, oltre che dare allo stesso tempo inizio all’annata la quale sarebbe coincisa col tramonto del ciclone mortale inaugurato dai luridi nastri dei Nihilist. Siamo difatti ancora parecchio distanti dal sofisticato nonché assai più noto pezzo da novanta “Ancient God Of Evil”, clamoroso prodotto dell’espansione e maturazione di un movimento qui al contrario fotografato nel corso del suo primissimo vagito; ma d’altro canto ciò che incidono i cinque ragazzi ritratti in copertina (sei, se si aggiunge il paroliere nonché futuro bassista titolare Richard Cabeza) è la bozza la quale tuttavia segna l’apertura irreversibile verso quello che gli storici di questo piccolo mondo avrebbero di volta in volta definito Blackened Death Metal, Melodic Death Metal, Black/Death Metal o molto più semplicemente la via svedese al buio su pentagramma.

La band

Se è vero che è sempre difficile avere in retrospettiva un’opinione ben delineata riguardo i lavori considerati di transizione in seno alla discografia di un singolo gruppo, allora lo sarà forse almeno il doppio quando ad essere trattato è in una sola opera l’intero crocevia musicale, cronologico e geografico tra i due stili di riferimento del contesto cosiddetto extreme. Lecito dunque che un platter colmo di accenni ed intuizioni assolutamente pioneristiche quale fu e rimane oggigiorno “In The Forest Of The Dreaming Dead” sia comunque stato col tempo messo in secondo piano rispetto al di certo migliore (sul piano qualitativo) ma anche più incasellabile seguito datato ’95, sicuramente anche per demerito di una scelta tremendamente infelice in fatto di copertina: l’inversione, nelle ristampe di oltre dieci anni più tarde, con il bellissimo dipinto del non meglio creditato Daniel L. originariamente destinato al solo retro del compact-disc fu del resto potenzialmente cruciale in fatto di ricezione della musica del gruppo, soprattutto trattandosi di un debutto.
Gli Unanimated dell’esordio sono anche in questo un’organismo amorfo, una molecola instabile con il compito di legarsi alle altre forme di vita e non-vita per trasformare l’ecosistema circostante (incarico questo preso abbastanza alla lettera dal drummer Peter Stjärnvind, trasmigrato presto nei Merciless del sottovalutatissimo “Unbound” e finito poi negli Entombed dalle alterne fortune a cavallo del Nuovo Millennio), ma essi per primi vittime del loro stesso essere profeti non ancora del tutto compresi in patria; il trentenne full-length con cui si presentano sulla scena sembra infatti vivere una doppia vita divisa tra elementi cardine della Svezia metallica, tipo il gran tiro del riffing e la produzione bella compatta, o le pennellate di elevata se non avanguardistica classe quali degli assoli sinceramente fantastici firmati da una coppia di giovanissimi axemen (il Johan Bohlin tutt’ora in line-up ed il Jonas Mellberg ritiratosi dopo il sophomore record più una breve permanenza nei Therion) che nulla hanno da invidiare al tocco dei più celebrati Nödtveidt e Parland. Sono proprio le ammalianti stoccate solistiche, piuttosto che le armonizzazioni trionfanti che saranno su “Ancient God Of Evil”, ad intarsiarsi negli episodi quasi interlocutori che distinguono il disco dalla massa di ultracorpi sorti tutt’attorno, specie le magnifiche “Storms From The Skies Of Grief” e “Cold Northern Breeze” che col loro impianto simil-folkloristico anticipano tanto gli In Flames dei primi rivoluzionari album quanto innumerevoli altri act a tinte gialloblù giunti in seguito per dare una nuova impronta al sottogenere in questione. All’altro capo dello spettro sonoro di “In The Forest Of The Dreaming Dead” non possono del resto mancare la secchezza Death-Trash di “Fire Storm” e “Mournful Twilight”, o le tastiere che su title-track e “Through The Gates” aggiungono un’altra gradazione di oscurità al mefistofelico operato del quintetto nordico, il quale però tocca il vertice massimo nei momenti in cui tenta dichiaratamente di unire i puntini e riesce, negli spettacolari volteggi di sei corde intitolati “Blackness Of The Fallen Star” e “Wind Of A Dismal Past”, a gettare un primo e fugace sguardo sul lustro di copertine blu e capisaldi targati No Fashion verso cui è inconsapevolemente già avviata la madrepatria da qui alla fine del millennio.

Mancano pertanto all’appello una voce meno gutturale ed una produzione dalle tonalità algide rimandanti a quanto sentito dai dirimpettai ad Ovest perché si possa cominciare effettivamente a parlare di Melodic Black Metal con tutti i crismi, per come lo conosceremo dal 1995 in avanti; e ciononostante va comunque ribadito che senza gli Unanimated, senza il loro coraggio nel saltare per primi nel cerchio di fuoco, difficilmente i cugini “The Somberlain” e The Nocturnal Silence” avrebbero avuto quegli essenziali tratti capaci di renderli oggetto di venerazione al pari del secondogenito di Bohlin e compagni.
Autentici leoni mascherati da pecore e mandati a fare strage di lupi, come tanti altri debuttanti i cinque di Stoccolma si sono preoccupati più di infilare nel proprio primo sforzo artistico (e forse, per quanto ne sapessero allora, pure ultimo) qualsiasi idea passasse loro in mente, anziché inseguire una perfezione la quale li avrebbe in ultima istanza distolti dall’obbiettivo principale di mettere in egual misura testa, mani e cuore in quel che stavano facendo. Le incongruenze disseminate lungo la tracklist di “In The Forest Of The Dreaming Dead” -non ultima una fiacca cover dei Venom presente in alcune versioni dell’opera e colpevole oltretutto di vanificare il superbo finale a base di cori forniti dalla guest star di fama Tiamat Johan Edlund– non possono tuttavia negargli una rilevanza storica incalcolabile alla luce, in primis, di un “Ancient God Of Evil” dove la band si riprenderà il nero trono che le spetta, ed in secundis del terremoto di lì in poi scatenatosi anche grazie a lui in Svezia, percepito pure dalla vicina Norvegia la quale sarà costretta ad alzare ulteriormente la posta per tenere il passo. Il risultato sarà un triennio abbondante di fuochi d’artificio esplosi da entrambe le parti, ad illuminare a giorno quelle gelide foreste scandinave dove i morti attendono sognanti la venuta dell’antico Dio del Male.

Michele “Ordog” Finelli

https://www.youtube.com/watch?v=5fv49t-IJWg

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